Grafologia e limite. Il gesto grafico vive il limite della forma e dello spazio in cui viene a realizzarsi, facendosi in tal modo possibilità di linguaggio, di comunicazione e di interpretazione, fino al punto di rappresentare simbolicamente l’uomo e il suo divenire.
L’intero cammino umano è storia dei limiti che la vita, in un circolo ermeneutico, chiama dapprima a comprendere e poi a trascendere. È con la limitatezza del corpo vissuta nella temporalità, dell’intelligenza e del carattere – segno limite indelebile – che si ha a che fare e che vincola il destino[1].
Il limite come condizione ontologica
Ogni atto parte da tale condizione ontologica per trascenderla – afferma il filosofo Georg Simmel – come un ponte sul grande abisso che solo l’uomo può gettare nel tempo, nell’arte e nella scienza (De Simone, 2015). Anche l’avventura della grafologia presenta i suoi consustanziali limiti e riconoscerli non limita, ma chiarisce e amplia gli orizzonti.
Il limite e il codice morale
Dalla scrittura non è dato conoscere quale condotta comportamentale l’individuo segua nella vita. Per quanto ciò sia noto all’interno del sapere grafologico, forse è questione che merita qualche approfondimento. Il codice morale ha implicazioni enormi nell’evoluzione psicologica.
I diversi atteggiamenti individuali nei confronti del silenzio, dell’ascolto e del dialogo interiore portano a dimensioni anguste o ampie del respiro e dello spazio psichico.
Tutto ciò riguarda la conoscenza-coscienza di sé che, ab ovo, non è qualità psicologica definita, quanto piuttosto il processo e il risultato dell’introspezione e auto-osservazione che ciascuno porta avanti con se stesso con intensità variabile per tutta la durata della propria esistenza.
Essendo strettamente legata al comportamento effettivamente prodotto, questa comprensione di sé si sottrae almeno parzialmente all’investigazione grafologica.
Lo spartiacque psicologico di Grafologia della menzogna
In tal senso, nel 1948 Girolamo Moretti in Grafologia della menzogna – ristampata nel 1971 all’interno di Grafologia dei vizi, purtroppo con importanti omissioni di termini e parti concettuali che ne impediscono una piena comprensione – opera un fondamentale spartiacque psicologico:
«Nel fatto l’umanità si divide in due schiere: la prima (di pochi) sceglie il vero Infinito; la seconda (la grande maggioranza) sceglie non l’Infinito vero, ma le sue apparenze» (Moretti, 1948, p. 12).
Ancora una volta è questione di limite. Vi sono coloro che, confessandolo a se stessi, al prossimo e a Dio, ampliano i confini della propria realtà psichica gettando un ponte verso i propri simili, considerati e trattati effettivamente come tali.
E ci sono coloro che, negandolo, ne restano angustiati e intrappolati: «La prima schiera ha tutte le bellezze straordinarie dei cozzi tra le tendenze umane e le violenze della volontà per trionfarne…La seconda schiera è la schiera degli infelici e degli stolti» (Ivi, p. 12-13).
Ricadute psicologiche enormi
Che la cosa non riguardi solamente il piano religioso, quanto invece presenti decisive implicazioni psicologiche e grafologiche è evidente. La grafologia vede il segno-limite di chi scrive e al tempo stesso si arresta davanti all’ineffabilità di non sapere quale dialogo morale e comportamentale il soggetto scrivente intrattiene con esso.
È limite personale che se accolto diventa nobiltà, se rifiutato miseria.
Come i sufi sostengono che i migliori pregi siano i peggiori difetti, così vale l’opposto, ovvero che i peggiori difetti-limite possono costituire i migliori pregi.
Ciò si verifica nel momento in cui l’uomo ne diviene consapevole e li pone a servizio non del proprio egoismo, ma del Tu. È un impegno della coscienza che chiaramente riconosce una realtà trascendente cui ispirare la condotta.
Personalmente ritengo l’opera morettiana sulla menzogna preziosa e imprescindibile al pari del Trattato di grafologia. In primo luogo permette di ammirare quali vette l’acume psico-grafologico di Girolamo Moretti sia capace di conquistare. In secondo luogo rivela inoltre entro quali linee comportamentali egli abbia condotto la propria vita.
La giovialità, serietà e serenità di Sinuosa
A tale proposito, riferendosi al segno grafologico Sinuosa che sappiamo essere presente nella sua grafia ai più alti gradi, Moretti (Ivi, p. 65-67) così si esprime:
«Io ritengo e son sicuro di non errare che il vero psicologo pratico è il santo, perché il santo è quello che ha constatato e constata le tremende difficoltà della salita e con una continua introspezione viene a conoscere la poderosità del cozzo tra il senso e lo spirito.
Qui più che in ogni altro temperamento, per avere i requisiti della vera sincerità, si impone che il soggetto sia del tutto votato al culto del vero Infinito”.
Moretti così prosegue: “Tale temperamento votato al culto del vero Infinito avrà per compagna della vita la giovialità legata come in connubio con la serietà, da cui sboccia il fiore della serenità… Bisogna che lo psicologo, insomma, abbia l’anima eletta per poter comprendere tutte le anime, le non elette e le elette.
Il cultore del falso infinito non ha la possibilità di elevarsi dai sensi e si trova nelle condizioni di non poter capire i voli di certe anime che arrivano a spiritualizzare il loro stesso carico materiale».
Si provi ad osservare lo sguardo profondo di Moretti. Prescindendo dal momento contingente dello scatto fotografico, lascia intuire le qualità descritte di giovialità, serietà e serenità di chi è tutt’uno con gli ideali di vita professati.
La libertà del mistero umano
Inoltre, Grafologia della menzogna conferma a chiare lettere quale antropologia il suo autore postuli, vale a dire la sacra libertà del mistero umano. Ciò sottende decisive ricadute pratiche nell’attività del grafologo che si professa suo discepolo. Moretti descrive gli opposti scenari psicologici sottesi ai segni grafologici che improntano i quattro diversi temperamenti umani della sua caratterologia.
A titolo esemplificativo, nel cultore del vero Infinito Angoli A da risentimento dell’io diventa risentimento di Dio. Ciò significa che non ci si risente per le ferite personali, ma per quelle del prossimo, per le quali si indigna e combatte.
Il cultore del vero Infinito
Moretti così commenta: «Il cultore del vero Infinito, siccome si riveste di Dio con la rinunzia sempre crescente delle esigenze dell’ “Io”, soffoca il risentimento in quanto scaturisce dall’ “Io” e dà valore soltanto al risentimento che scaturisce dall’Infinito o meglio dal suo medesimo “io” in quanto militante sotto lo stendardo del suo amante.
Si badi bene che il risentimento dell’ “io” semplicemente tale e il risentimento di Dio sono fra loro in cozzo, sicché rinunziare al risentimento dell’ “io” è lo stesso che andare a favore di quello di Dio. Il risentimento di Dio viene posto in atto quando l’ “io” dà luogo al proprio risentimento, per cui il risentimento di Dio è come l’effetto del risentimento dell’ “io”» (Ivi, p. 33).
Secca, seguendo il falso infinito, «…è un imbecille splendente d’oro» (Ivi, p. 27) ma, sul sentiero del vero Infinito, attua una generosità addirittura maggiore di quella di Largo tra lettere:
«La coltura del vero Infinito riversa sull’avaro tutti gli stratagemmi dell’avarizia, e lo rende bersaglio di tutti i colpi che l’avarizia, secondo la sua natura, vorrebbe scagliare contro gli altri.
Cosicché l’avaro cultore del vero Infinito non concede nulla o quasi nulla a se stesso per lasciare tutto alla società, di modo che quanto più la coltura del vero Infinito è intensa, tanto più egli si limiterà nelle pretese delle proprie esigenze e si allargherà per rendersi fattivamente propenso a secondare gli altri.
Non avrà l’esteriorità della generosità, perché la modalità della generosità esula dalla sua natura, ma in realtà sarà generoso molto più del generoso per natura» (Ivi, p. 26).
Il cultore del vero Infinito con Stentata diventa, da collerico, uomo pacificato e mansueto (Ivi, pp. 67-71), e via dicendo.
Il limite come faro interpretativo
Stando così le cose, se il limite grafologico non è faro dell’interpretazione, vi è il rischio di incorrere nel grave errore del grafologismo. Alla stregua dello psicologismo, esso riduce allo psicologico ciò che riducibile non è in quanto ne trascende l’ambito. Fare grafologismo è dunque antitetico alla grafologia e all’antropologia morettiana.
(continua. vedi articolo successivo)
[1] Eraclito osservava che il carattere di un uomo è il suo destino.
Riferimenti bibliografici
De Simone A. (2005), Il ponte sul grande abisso. Simmel e il divenire dell’essere, Morlacchi, Perugia.
Moretti G. (1948), Grafologia della menzogna, Messaggero, Padova.